LUCA GIOMBI
Scenografie & Allestimenti
RIGOLETTO


CONCEPT DELL’OPERA

La scenografia da me concepita per questo studio di allestimento per l’opera Rigoletto non vuole essere realistica, ma cerca anzi di richiamare nello spettatore emozioni e sensazioni grazie ad alcuni dettagli simbolici ed evocativi. L’ambiente che ho concepito è molto semplice: la scena è fissa per tutti e tre gli atti e prevede un pavimento di fango scenografato (con alcune piccole zone di fango vero) e una grande struttura in ferro che riproponga i supporti per i cartelloni pubblicitari posizionati accanto alle autostrade. Il pavimento fangoso è coperto di impronte di pneumatici e orme di persone. Questa texture caotica e materica ci restituisce l’idea di un suolo melmoso, sporco, violentato dall’arrivo di automobili e di altri mezzi. L’effetto che voglio ricreare è proprio questo: un luogo abbandonato ai limiti della città, un posto che sia allo stesso tempo urbano ma selvaggio, di passaggio, ma desolato e appartato. Questo ambiente ospiterà le varie vetture che poi popoleranno lo spettacolo. Saranno proprio queste con i loro ingressi e uscite a definire i cambiscena e a mutare i luoghi dell’azione.

Le moto e le auto di lusso denotano il ceto alto, i cortigiani e il Duca, mentre le vetture più malandate, come il furgoncino e la roulotte, rappresentano il ceto sociale più povero. Questa bipartizione è resa ben evidente anche dalla musica e dal libretto: Rigoletto “vive” nella corte, fra le automobili sfarzose, ma torna sempre, ogni sera, alla sua umile dimora, un furgoncino sgangherato. Anche Sparafucile e Maddalena, criminali di basso rango, vivono in un posto fatiscente e per nulla lussuoso, per me una roulotte. Le vetture che ho utilizzato mi servono quindi a definire il mondo che voglio proporre, descrivendo visivamente la netta separazione tra i ceti sociali e gli spazi dove i personaggi agiscono. Spazi per i quali ho operato un ribaltamento scenico: non sono più gli interni ad essere il fulcro dell’azione, ma al contrario essa si svolge in luoghi esterni popolati di automezzi che rappresentano edifici, con i loro interni e i loro mondi diversi. Ritengo sia interessante valutare, sotto un nuovo punto di vista un’opera come Rigoletto, il cui filo conduttore è, per me, l’isolamento. Isolamento che ho cercato di rappresentare attraverso i luoghi scenografici in cui si ambienta tutta la vicenda, desolati appunto, ai margini e di passaggio.
Nel primo atto, infatti ho pensato che la festa si svolga ai limiti della città, in un luogo che non sia frequentato, così da poter essere liberi di fare ciò che si vuole. Identico ragionamento anche per le altre due scene: Rigoletto cerca un luogo sicuro, un luogo appartato dove far vivere sua figlia, senza che questa venga vista da nessuno e la stessa cosa cercano Sparafucile e Maddalena che, per lavorare al meglio e indisturbati, necessitano di un posto lontano dal centro urbano, lontano da occhi e orecchi indiscreti. Questo filo conduttore e l’idea del fango (che illustrerò in seguito) mi hanno spinto a concepire lo spazio così come è presentato nei bozzetti.

Il fango

In primo luogo vorrei soffermarmi sulla scelta del fango come materia principale del mio lavoro. Ho scelto di partire proprio dal concetto di “infangare”: infangare l’onore, infangare il buon nome, infangare il ricordo. Sono tutte espressioni legate a questa parola e al fatto di sporcare qualcosa che ci sta a cuore. Il fango (in questa mia idea) è per l’appunto una metafora di tutto ciò che c’è di più indecente e corrotto nella società, una sostanza che sporca gli abiti, sporca le vetture e che si accumula nella scena sommergendola. Da vocabolario questa parola è proprio sinonimo di disonore, vergogna, bassezza e abiezione.
Tutti i personaggi hanno il proprio rapporto con il fango. Il Duca e i cortigiani, per primi, sono coloro che vivono nella corruzione, nella dissolutezza: i loro abiti, le loro scarpe e le loro macchine sono sporchi e macchiati dalla melma. Sembra che a nessuno di loro importi che la “luce morale” della propria persona sia offuscata dalla depravazione e dal vizio.
Rigoletto, al contrario, è obbligato dalle convenzioni sociali e dal suo ruolo di leccapiedi e buffone ad essere felice di sguazzare nella melma, almeno nella prima parte dell’opera. Non appena esce dalla corte tutta la pesantezza del lurido materiale lo coglie: qui, nel tragitto dal palazzo a casa si vede come tutto ciò che lo circonda lo disgusti. Tutto attorno a lui è corrotto (quindi coperto di fango). Rigoletto sa bene che non può arrivare dalla sua Gilda in quello stato impietoso, pertanto inizia a svestirsi e a cambiarsi d’abito. Cerca per quanto possibile di togliere le tracce del mondo esterno dai suoi vestiti per poter entrare in casa senza sporcare nulla. Gilda, sempre pura e candida nella prima parte dell’opera non tocca mai il suolo perché il vecchio padre (tramite Giovanna) si premura di disporre attorno al furgone dei tappeti per camminare senza sporcarsi. Solo quando la giovane entra in contatto con il Duca (simbolo per eccellenza della corruzione) viene anch’essa, materialmente e metaforicamente intaccata dall’immoralità che la circonda. Solo con esperienze forti, come l’amore per il nobile e il disonore subìto, la ragazza lascia per sempre il nido immacolato e puro per entrare in tutto e per tutto nella realtà crudele che suo padre ha cercato invano di nasconderle per tutta la vita. Il contatto con il fango in questo caso segna anche la maturità di Gilda che impara così quali siano le regole del mondo a cui appartiene.

Le grandi reclame

Le immagini strappate, rappresentate nel grande cartellone che occupa la parte destra dello spazio scenico, non sono altro che riferimenti iconografici che voglio proporre al pubblico, alla stregua di immagini subliminali. Sono grandi fotografie che rimandano alla vicenda e sono un ulteriore mezzo di comunicazione per narrarne la storia, non solo con le parole e la musica, ma anche con stimoli visivi. Ho creato un patchwork visivo, una grande “lavagna” dove intendo disegnare e appuntare delle informazioni che ritengo importanti dal punto di vista drammaturgico. Ognuna delle tre grandi lavagne, una per ogni ambiente descritto nell’opera, ha dei riferimenti sia con la storia, sia in relazione con le altre pubblicità, perché ne ripropone delle parti come se fossero collegate da un filo invisibile che permette al pubblico di ricomporre i vari pezzi del puzzle. Questi stracci di carta e immagini simboliche, che si accumulano come reminiscenze nella memoria dello spettatore, non vogliono raccontare didascalicamente la vicenda ma, in modo più semplice, vogliono generare suggestioni visive forti e contribuire alla creazione di un’atmosfera che rispecchi l’idea di regia del progetto.
Le reclames della scena del Palazzo Ducale/spazio per rave-party ai margini della città in qualche modo, rivivono anche in quelle pensate per la casa/furgoncino di Rigoletto e per la locanda/roulotte di Sparafucile. Ho suddiviso i tre cartelloni assegnandone uno a ciascuno dei tre personaggi principali della storia. Il primo, sui toni del grigio, è dedicato alla figura imponente e fascinosa del Duca. Il secondo è destinato al personaggio di Gilda (a cui ho attribuito le tonalità tenui e leggere del celeste) mentre l’ultimo vede come protagonista (su sfondo rosso) la figura di Rigoletto.
Nel primo cartellone intravediamo per l’appunto, fra le varie fotografie, quella di un uomo avvenente, ben vestito e giovane (il Duca). L’immagine è rovinata e il viso è parzialmente celato, in modo tale che si possa intuire il riferimento al personaggio senza che il suo volto venga chiaramente esplicitato ma rimanga solo un abbozzo. Attorno alla figura possiamo notare altre immagini che ci conducono all’interno della corte dei Gonzaga: ho voluto riproporre stralci di pubblicità dei palazzi mantovani e inserire il logo di Palazzo Tè (le foto degli affreschi che s’intravedono sono per l’appunto affreschi del Palazzo Tè di Mantova).
Il secondo cartellone propone una grande figura femminile con ali d’angelo immacolate (chiaro rimando al personaggio di Gilda).
La ragazza è occultata da due figure maschili che appaiono fra i tanti stralci di reclame. Riconosciamo a destra parte della precedente foto del Duca e intravediamo davanti la donna a coprirle seni e pube un disegno molto rovinato di un pagliaccio (simile a quello presente sulla fiancata del furgone di Rigoletto).
La seconda pubblicità è l’anello di congiunzione fra le tre, che vede al proprio interno rimandi rievocazioni delle altre due lavagne, come se i due uomini imponessero la loro presenza ingombrante sulla figura della modella, soffocandola. Gli stessi brandelli di immagine del clown, serviti a “censurare il corpo nudo della ragazza nel secondo cartellone, vengono riproposti nel terzo, dove l’immagine si completa mostrandoci, su sfondo rosso, il buffone beffardo e malinconico.

L’arena del Vizio

Diverse automobili di lusso compongono concretamente e idealmente la corte di Mantova. Una piccola arena di vetture, costose e “arroganti”, irrompono nel silenzio della notte alla ricerca del luogo perfetto dove compiere ogni genere di dissolutezza. Le macchine, dalle carrozzerie fiammanti, lucide ma allo stesso tempo sporche di fango nelle parti inferiori, rispecchiano appieno il carattere dei loro proprietari: nobiltà e ricchezza si sposano perfettamente con vizio e immoralità.
Le sfarzose vetture in scena verranno utilizzate dalle comparse femminili come piccoli “palchi” su cui ballare ed esibirsi, mentre cofani e sedili posteriori verranno usati dal coro e dagli altri figuranti come letti su cui giacere e compiere atti sessuali. L’effetto volutamente volgare che voglio creare deve in qualche modo provocare fastidio e repulsione nel pubblico che deve essere immediatamente messo al corrente dell’immoralità della scena a cui assisterà (quasi come se si trovasse lui stesso nei panni di Monterone).

La dimora del buffone

La casa di Rigoletto è, in questo caso, un furgone adibito a piccola abitazione: un veicolo rovinato dal tempo e dall’usura, vecchio e malandato che non desti troppa attenzione su di sé ma che passi inosservato agli occhi di estranei.
Gilda abita in questo rifugio, orribile all’esterno e immacolato all’interno. È un piccolo nido dove la giovane può vivere senza essere disturbata dal mondo esterno. Allo stesso tempo però, questa vettura è anche una gabbia che la tiene prigioniera e che non le permette di dispiegare le ali e guadagnare la libertà. Vedo la gelosia di Rigoletto riversarsi anche sulla sua dimora: ho pensato appunto ad una casa mobile che egli possa sempre avere sott’occhio e possa sempre controllare. Una casa che possa portarsi appresso per non perdere mai di vista il suo prezioso tesoro. Ritengo che questa possessività possa essere ben rappresentata da questo “stile di vita” che il gobbo si auto-impone e che di conseguenza impone alla figlia.

La tana del sicario

In questo scenario dove ogni edificio è stato sostituito da un corrispettivo automobilistico ho ritenuto corretto assegnare alla coppia di fratelli criminali una fatiscente roulotte al posto della consueta casa diroccata con crepa sul muro. Penso che nell’idea per questo Rigoletto un caravan sia la scelta più giusta per Sparafucile e Maddalena: quale mezzo più adatto per vivere, per lavorare e per spostarsi senza destare troppi sospetti se non una vecchia e malandata roulotte? I due abitano ai margini della società, lontano dalla città e dalle sue regole, potendo così gestire il loro piccolo mondo senza che nessuno li infastidisca. La vettura, fatiscente, arrugginita e sporca rispecchia appieno il carattere dei personaggi che la abitano.

 


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