Lo spettacolo La gabbianella e il gatto è tratto da uno dei racconti più belli ed emozionanti della letteratura contemporanea: Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare di Luis Sepúlveda.
Scopo dello spettacolo è far entrare questa favola nella dimensione teatrale, mantenendo il più possibile invariati trama e contenuti.
Il punto di inizio, il riferimento del regista è stato il porto: tutta la scena avrebbe dovuto avere un sapore di mare, che rimandasse in qualche modo a una città portuale quale Amburgo, cornice della nostra storia. A questo progetto si aggiungeva però un problema non indifferente, ossia le ristrette dimensioni del palcoscenico (6 metri per 5 metri). La scena doveva essere fissa.
Nasce da qui un secondo problema: nella favola di Sepúlveda ci sono varie location che vanno dal terrazzo del gatto al bazar di Harry, dalle fogne al campanile della chiesa. Bisognava contraddistinguere ogni luogo con una particolarità e renderlo così unico e riconoscibile dal resto delle altre location. Naturalmente il porto era il punto base che doveva governare l’intera scena e quindi doveva anche essere il filo conduttore che toccava tutti i momenti.
Ho ideato uno spazio neutro che potesse comprendere varie soluzioni; un espediente che poteva già rimandare a un pontile e ad un viottolo.
Per dare un esempio di come con pochi elementi diversi su uno stesso spazio neutro sia possibile regalare l’illusione di un vero cambio scena voglio citare l’esempio della soluzione scelta per la scena delle fogne. Verso la fine del primo atto il gatto protagonista Zorba decide di scendere nelle fogne per patteggiare con il capo dei ratti per l’incolumità della gabbianella. Il capo dei ratti non poteva certo condividere lo stesso luogo dei gatti, quindi ho pensato d’improvvisare un piccolo cambio-scena. Subito dietro la passerella per tutto lo spettacolo ho posizionato un lungo stangone al quale ho appeso altre reti da pesca, del tutto simili a quelle sul fondo della scena ma con l’unica differenza che queste avevano attorcigliati nella trama degli stracci di plastica (la stessa del fondale).
Quando lo stangone veniva issato saliva questo altro “fondale” simile a quello sul fondo (poiché utilizza gli stessi materiali ma in maniera diversa). La plastica che prima era ben stesa ora si trova appesa in svariati logori stracci che scendono dall’alto quasi fossero alghe o rifiuti rimasti impigliati nella rete.
Il vestito del capo dei ratti è composto da un lunghissimo mantello che scende dalle sue spalle e sale nuovamente in alto fin sullo stangone. Questo telo grigio rimane per tutto il dialogo fra il ratto e Zorba e solo quando l’attore farà la sua uscita di scena si staccherà dallo stangone trasformandosi così da parte della scena nello strascico del mantello del topo. Al buio lo stangone viene riabbassato e torna a nascondersi dietro la passerella.
Regia, luci e scelte musicali: Giovanni Buresta
Scene: Luca Giombi
Costumi: Danila Merloni
Trucco: Eleonora Belardinelli e Giulia Amadori